C.Monteverdi. Madrigale: "Sì ch'io vorrei morire"

Claudio Monteverdi



Il madrigale è un genere musicale che ebbe una lunga fortuna, che iniziò intorno al 1530 e perdurò per tutto il secolo esaurendosi nel II decennio del '600.
L'esempio scelto è tratto dal IV libro di madrigali di Claudio Monteverdi, pubblicato a Venezia nel 1603.
Il madrigale è un genere musicale che veniva eseguito nelle corti per diletto privato e veniva cantato, molto spesso, dagli stessi cortigiani. 
Era una composizione molto complessa sul piano percettivo, la cui comprensione più piena si aveva se tutte le parole del testo e tutti gli intrecci musicali potevano essere ben eseguiti. Inoltre, essendo cantato nelle corti italiane del '500, il madrigale favorì la fortuna degli stampatori, soprattutto veneziani, che sulla scia di Ottaviano Petrucci si moltiplicarono, lasciando un'eredità quantitativamente immensa di musica di questo genere.
C.Monteverdi (Cremona 1567 - Venezia 1643) intorno agli anni '90 fu al sevizio di Vincenzo Gonzaga, duca di Mantova, il quale, amante delle lettere e delle arti, aveva fatto della sua corte un centro culturale fra i più vivi d'Italia.
Il IV libro di madrigali è testimone della civiltà musicale di questa corte ma è dedicato all'Accademia degli Intrepidi di Ferrara, a cui , però, apparteneva il Principe Gonzaga da cui Monteverdi dipendeva.
Anche la corte ferrarese era singolarmente stimolante, piena di iniziativa, pervasa da quella volontà di sperimentazione che caratterizzava anche l'ambiente mantovano. Infatti, dal punto di vista musicale, verso la fine del '500, Ferrara aveva conquistato una fama europea per un gruppo di cantatrici  (denominate, appunto, "dame ferraresi"), da tutti apprezzate per le proprie capacità vocali.
Bisogna ricordare inoltre che siamo in piena epoca di Controriforma, di rigido moralismo, di persecuzione dei nemici della religione, cioè di un'epoca estremamente rigorosa sul piano del costume.
Ma questo periodo è caratteristico anche per la forza e per la virulenza con cui inconsciamente si sfugge a questo rigido moralismo, soprattutto nella vita di corte.
In questa situazione storica fioriscono madrigali molto interessanti tra i quali bisogna annoverare questo di Monteverdi.
Il rapporto che questo compositore instaura  con il testo è il rapporto molto vivo e basato su quegli aspetti di "imitazione reale".
In questo caso aspetti di vario tipo: di mimica corporea e gestuale.

Il testo è di Maurizio Moro:

Sì ch'io vorrei morire,
ora ch'io bacio, amore,
la bella bocca del mio amato core.

Ah cara e dolce lingua
datemi tanto umore
che di dolcezza in questo sen m'estingua.

Ah vita mia, a questo bianco seno
dà stringetemi finch'io venga meno
Ah bocca, ahi baci, ahi lingua torno a dire.
Sì ch'io vorrei morire.

Monteverdi riprende lo schema classico di tutta la polifonia del '500, 
cioè segmenta il testo nelle sue frasi costituenti e su ciascuna costruisce un episodio musicale. in altri termini, ogni verso, ogni emistichio, viene considerato come unità semantica.
Inoltre nel madrigale si verifica che i teorici dell'epoca definivano il "fuggir la cadenza", cioè. le varie voci cominciano una dopo l'altra e nel punto in cui cadenzano, inizia un'altra voce.
Le modalità d'uso delle altre voci erano fondamentalmente due:
1)le voci entrano singolarmente con procedimenti ad imitazione;
2)le voci procedono cantando tutte le stesse sillabe (procedimento omoritmico).
Monteverdi accetta questa tradizione, ma usa anche voci singole, invece che in polifonia: una logica, questa, che va verso il canto solistico, quasi teatrale.
In sostanza dietro il canto di Monteverdi si intravedono dei gesti quasi di recitazione, da teatro. Infatti Monteverdi cerca di teatralizzare il madrigale, di renderlo più vicino ad una espressione solistica e quindi gestual-teatrale.
Il commento di questo testo del madrigale monteverdiano viene fatto sulla base dei principi dell'estetica del madrigale cinquecentesco, in cui il rapporto tra la musica e il testo è molto stretto e in cui il rapporto tra la musica e il teatro è molto stretto e in cui la musica si assumer il compito di "imitare" la parola.
"Sì ch'io vorrei morire" viene ripetuto diverse volte. Questa ripetizione enfatica delle parole non è un'invenzione monteverdiana, ma fa parte della tradizione del madrigale.
Inoltre nel primo verso la declamazione utilizza una "imitazione della parola" tipica del madrigale: la linea melodica scende precipitando verso il basso. le potenzialità spaziali qui vengono utilizzate per "significare" il senso di caduta che è connesso con l'idea della morte.
Altro aspetto molto interessante è che la musica non imita sempre i concetti verbali: infatti, in questo caso, la musica assume un ruolo di tipo retorico che si rifà alla tradizione alto-colta europea che va dagli ultimi secoli del Medioevo fino all'epoca umanistica. un discorso di quella che presso gli antichi Greci e Romani si chiama Ars Retorica, l'arte di parlare, il modo migliore per costruire un discorso ben fatto e persuasivo.
Questa retorica era stata codificata  e trattata soprattutto dai Greci che attribuivano a questa capacità un'importanza elevatissima. in altri termini il saper parlare  era un'arma grazie alla quale si poteva trascinare la folla alle proprie posizioni. L'Ars Retorica aveva un'importanza pratica  per l'antica Grecia e ha assunto un quantità di cose che poi sono rimaste nella cultura medioevale e rinascimentale.
I teorici di quest'ultima epoca si sono interessati alla retorica e hanno messo in evidenza una serie  di riflessioni sulle possibili interferenze tra strutture musicali e strutture verbali. Questi aspetti cominciano ad emergere lentamente nel '400 con Dufay, e con Monteverdi sono già tecnica acquisita.
Il musicista imitando con la musica i modi espressivi dell'intonazione verbale utilizza, appunto, un artificio retorico. L'alzarsi e l'abbassarsi
della voce, il pronunciare le parole con maggiore o minore energia, il pronunciare più o meno lentamente o più o meno velocemente la sillaba, fa parte degli artifici che l'oratore usa nei suoi discorsi e la musica cinquecentesca, in particolare la musica profana, li ha trasposti e stilizzati nelle sue tecniche e li usa a piene mani nell'epoca di Monteverdi. Imitazione della parola vuol dire, in questo caso, del modo con cui le parole verrebbero pronunciate se venissero recitate o declamate.
Si nota quindi come la retorica verbale e l'imitazione della parola si intrecciano con il resto:
versi 4-6: è la parte più coinvolgente sul piano erotico di tutta questa poesia. Nel verso 4 le voci si rincorrono secondo il classico procedimento imitativo che qui viene mescolato con altre tecniche: oltre l'imitazione, alcune voci dicono, usando una certa melodia, certe parole, mentre contemporaneamente le altre voci, usando una melodia diversa dicono parole diverse. E' un procedere a dialogo o a contrapposizione. In questo caso: alcune voci ripetono  l'esclamazione "Ah", mentre altre dicono "cara e dolce lingua";
versi 7-9. la parola "stringetemi", che presenta l'imitazione del gesto, è intesa in due modi:
1) il modo di tipo ritmico, il modo con cui le parole  vengono pronunciate; la pronuncia è più stretta  nel senso che  le sillabe sono più affollate in uno spazio di tempo ridotto (stringere= parole strette).
2) Il procedimento di dissonanze che risolvono, ossia di piccoli urti, di avvicinamenti e di allontanamenti tra le voci, che sono una metafora dello "stringere" (stringere=urtare). 
A ragione Monteverdi è stato definito il creatore della musica moderna. sia nei suoi scritti di poetica sia in tutta la sua produzione, Monteverdi afferma una concezione della musica essenzialmente come fatto espressivo, come mezzo per rivelare nella loro più vibrante e icastica dimensione gli "affetti" dell'animo umano.